L’ulivo e la poetessa greca Saffo –
di Salvatore Paolo Garufi Tanteri

Una giornata di vento può capitare dappertutto, anche nella magica piazza di San Pietro, dove c’è La Casa del Sogno Antico.

Così, un Prometeo Mazzacanagghia in un informe pelliccione guarda fumare il prof. Socrate Sciusciapinseri, perfettamente a suo agio in cravatta e giubbotto a due gradazioni di blu, sopra una camicia di un celeste angelico.

“Il vento!” disse il professore, con lo sguardo perduto oltre la finestra, alla ricerca dell’ulivo solitario sopra la collina. “Quell’albero sembra aggrapparsi al cielo per non essere portato via.”

“Già… il vento!” ringhiò Mazzacanagghia. “Che dite, professore? Ci scriviamo sopra un’altra poesia?”

“Alla poesia ci ha già pensato il più grande lirico di tutti i tempi, la regina dei versi ai tempi della Grecia classica, la divina Saffo!”

Tirò una boccata dalla sigaretta, sbuffò la sua dose di inquinamento ambientale verso il soffitto e recitò:

Vibra il cupo fogliame del lauro e del pallido ulivo…

“E quanto ci ha studiato, la poetessa, per dire una miniminagghia del genere?” sghignazzò Ma zzacanagghia.

“Ci ha perso, più o meno, il tempo che perdi tu per sfornare le tue sciocchezze… Ma lo sai chi era Saffo?”

“Lo so… una sfascia-pensieri che, invece che con gli uomini, le cose che è giusto fare le faceva con le donne.”

“Era molto di più. Bisognerà aspettare il nostro Giacomo Leopardi per avere delle parole che fossero a quell’altezza… Saffo amava la vita e non si può amare la vita senza amare l’amore. La vita è l’ulivo, con le foglie che diventano d’argento sotto la sferza del vento, come i nostri capelli nello scorrere del tempo… e, come il cuore palpita e vibra quando siamo innamorati, così le foglie tremano e scrosciano per le carezze, o gli schiaffi, dell’aria… L’aria è il tempo, è l’amore, è il sentimento, è la vita…”

“E ho detto tutto… come Peppino De Filippo in Totò, Peppino e la malafemmina!” rise Mazzacanagghia.

Si fermò, come preso da un dubbio.

“O abbiamo scordato qualcosa?…” aggiunse. “Professore! Con tutto il materiale che ci avete messo, un palazzo a cento piani doveva venir fuori, non una frase che a me pare appena appena normale!”

“Ci vogliono occhi allenati alla bellezza per vedere la bellezza. E’ come quando tu ed io andiamo a raccogliere gli asparagi… Tu, che hai gli occhi giusti, li trovi anche in un groviglio di rovi… Io, invece, vedo soltanto pietre e sterpaglia… Saffo, ancora, sapeva trovare il gusto e la gioia del vivere nelle sue pene d’amore.”

Prese il volume che teneva appoggiato sul ripiano della credenza e lo sfogliò, spense la sigaretta e recitò solennemente:

Tu, morta, finirai lì. Né mai di te

Si avrà memoria, e di te nel tempo

Mai ad alcuno nascerà amore,

Poi che non curi le rose dello spirito.

E, sconosciuta anche nelle case dei morti,

Andrai qua e là fra oscuri

Morti, svollazzando.

“Così, almeno, traduceva in italiano Salvatore Quasimodo… con qualche aggiustando da parte mia” concluse.